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Scrivi la tua storia

Lavoravo in quell'azienda da quindici anni, l'ambiente era familiare, godevo della massima libertà e fiducia, ma volevo fare altro da sempre.

Cosa fosse quell'altro lo ignoravo, non riuscivo neppure a immaginarlo.

Quella mattina il telefono sulla scrivania squillò, guardai il nome che lampeggiava sul display luminoso - Olga -.

"Sì?" alzando il ricevitore.

"Potresti venire un momento da me, avrei bisogno di parlarti."

"Certo, arrivo."

Mi alzai e mi diressi nel suo ufficio.

"Vittoria, entra, prego siediti" indicandomi il pouf in pelle grigia.

Mi accomodai, timidamente, qualcosa mi faceva stare all'erta, come in attesa di ciò che aspettavo da sempre.

"E' successo qualcosa?"

"Sappiamo entrambe che prima o poi avresti voluto andartene

e sento che disprezzi me e questa azienda" abbassò lo sguardo sulla scrivania in rovere chiaro e con le dita disegnò un cerchio.

Rimasi in silenzio, quel sentimento non mi aveva mai sfiorato per nessuno, tanto meno per il mio capo.

Poi, a fil di voce "Disprezzo?"

"Per favore, non mi interrompere, ho notato atteggiamenti che non mi piacciono, non fai più bene il tuo lavoro."

"A cosa ti riferisci? Ho sbagliato qualcosa?"

"Oh insomma, Vittoria! Cosa è questa storia che non parli con Lara, mi ha riferito che non la saluti neppure più, sì, quando passi davanti a lei sfili, sei superba e ..." agitandosi sulla poltrona si morse le labbra.

"Ma è per questo che mi hai convocato? Con Lara mi sono chiarita" la interruppi con fare sprezzante, come a voler sottolineare che non mi importava nulla della sua futura nuora.

"Non ridere! So tutto quello che è successo con mio figlio" gridò.

Rimasi pietrificata.

Sapeva tutto? Tutto cosa? E chi glielo aveva raccontato?

"Scusa?" feci finta di non sapere a cosa si stesse riferendo.

"Sì, so tutto, tutto quanto" alzandosi in piedi, spinse via alcuni fogli appoggiati sulla scrivania, che caddero per terra, li guardò, scosse la testa e puntò i suoi occhi su di me.

"Mah ... " sentivo soltanto il mio cuore accelerare i battiti.

"Vittoria, ci sono in ballo dei sentimenti, e come tali li rispetto, una passione travolgente, che potrebbe diventare una storia d'amore meravigliosa."

Ancora più sconcertata, la fissai, in silenzio.

"Non so cosa dire"

"Non sai cosa dire?" alzando nuovamente la voce "te la dico io una cosa, lasciate fuori Lara da questa vicenda, lei non deve sapere nulla."

"Olga, è la mia vita privata."

"Appunto, sei qui da molti anni, decidi cosa vuoi. Sei bella, intelligente, determinata, potresti avere chiunque, ma non sei riuscita a costruire nulla."

Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime. Aveva fatto centro, accontentarsi delle briciole di suo figlio, impavido e orfano di padre, succube di una madre ingombrante e di un lavoro che non mi era mai appartenuto davvero.

Ancora pochi secondi e sarebbe riuscita a farmi raccontare tutto, i miei sentimenti, le mie paure, le mie speranze. Vacillai, la testa iniziò a girarmi, sudavo freddo e una scossa elettrica mi pervase. Strinsi forte i pugni, per contenere il dolore. Non avrebbe mai avuto la mia confessione. Forse, era vero che la disprezzavo, non meritava le mie confidenze.

Ripresi contatto con il mio corpo, rilassai le mani, mi alzai in piedi, ricacciai indietro le lacrime "meglio il nulla, che costruire sulle menzogne, non credi?"

"Francesco sta male per quello che è successo, mio figlio farà le sue scelte con i suoi tempi, e se lo ami, ti chiedo di aspettarlo."

"Io ..."

"Io cosa? Cosa? C'era bisogno di raccontare quello che è successo ai tuoi colleghi?"

Nelle sue domande, avevo ottenuto la mia risposta, era stato suo figlio a raccontarle tutto. Ero incredula, aveva scelto sua madre per confidarsi, non aveva nessun amico con cui parlarne. Gli uomini non facevano così? Due parole davanti a una birra, tra un commento sull'ultima partita di calcio e un apprezzamento alla barista, senza soffermarsi troppo sul perché una storia non andava più bene, non si era più innamorati da tempo e si iniziava a provare qualcosa per qualcun'altra. Lui no, era andato da sua madre.

"Mi sono confidata con persone di cui mi fido ciecamente, io" sottolineai l'ultima parola.

Se ne accorse, si sedette di nuovo e mi invitò con un gesto della mano a fare altrettanto.

"No, grazie, preferisco rimanere in piedi."

Quel rifiuto la indispose più della consapevolezza dell'inettitudine di suo figlio.

Si alzò in piedi a sua volta e si avvicinò a me, puntandomi il dito contro "hanno isolato Francesco! Non hai idea di quanto tu sia influente su di loro."

"Davvero? Quindi mi stai dicendo che non ti fidi dei tuoi collaboratori, che li ritieni degli stupidi, che si fanno influenzare da me?" mi resi conto di aver alzato la voce, ma non potevo tollerare un attacco ad altre persone, ree di avermi ascoltato e aver mantenuto il massimo riserbo in tutti quei mesi.

"Vittoria, non ti rendi conto di quanto potere hai sugli altri."

"Addirittura" e scoppiai a ridere "questa conversazione è assurda, rimproverami se ho sbagliato qualcosa, se non ho completato il mio lavoro, ma non per le mie scelte personali, fuori di qui posso vedere e parlare con chi voglio."

"Hai creato un clima che non mi piace" arrossì, e indietreggiò, si sedette sul bordo della scrivania.

"Non mi pare, continuo a lavorare con Francesco, i clienti sono soddisfatti, davvero non capisco questo attacco."

Rimanemmo entrambe in silenzio, io in piedi davanti alla porta di vetro trasparente del suo ufficio, lei appoggiata al tavolo, con le mani giunte sulle ginocchia.

Se fossimo state due donne, fuori da quel posto, senza nessun vincolo di potere a regolare i nostri rapporti, ci saremmo parlate in quella maniera?

In quei mesi, avevo sempre temuto la sua reazione, se fosse venuta a conoscenza di quello che era successo con suo figlio, come avrei potuto risponderle?

Lei voleva conoscere la mia verità, io non volevo raccontargliela ed eravamo arrivate a quello scontro. Se avessi accettato il suo invito a sedermi e con il cuore in mano mi fossi confidata con lei, recitando il ruolo della vittima, innamorata di suo figlio, che non sapeva prendere una decisione, avrei fatto il suo gioco.

Io provavo qualcosa per suo figlio, lui provava qualcosa per me, e questo ci aveva spinti l'uno nelle braccia dell'altro, ma l'abitudine a Lara era più forte.

Mi stava chiedendo di aspettare suo figlio, di continuare a fare finta che nulla fosse successo, in attesa di cosa? Che lei da capofamiglia e da capo dell'azienda, sistemasse le pedine come meglio credeva?

Ora mi era chiaro perché Francesco fosse andato a raccontarle tutto, mammina avrebbe risolto la situazione. Ma io non ero Lara, abilissima a far finta di non sapere cosa stesse succedendo, pur di rimanere al suo posto. Io ero Vittoria, e al mio posto non volevo più restare.

"Te lo ripeto, decidi cosa vuoi fare?" speranzosa di ricevere la risposta che desiderava da anni, liberarsi di quella nuora sgraziata, che tutti guardavano con commiserazione, perché consapevoli dei sentimenti e dei comportamenti di Francesco.

"Che cosa mi stai chiedendo?"

"Davvero, pensavi che non mi sarei accorta di quello che hai fatto?"

"Direi, abbiamo fatto."

"Conosco mio figlio, si è legato a Lara troppo giovane e certe promesse non si possono mantenere, lo sappiamo."

"Che cosa mi stai chiedendo?"

"Di decidere."

"Ci penso da mesi, e non vedo alternative."

"No, Vittoria, non è questo quello che voglio, aspettalo" implorante, si alzò, si avvicinò a me.

Mi sentii usata, fino a pochi minuti prima ero la persona peggiore che avesse lavorato per lei e ora venivo supplicata di rimanere e di aspettare.

Avevo atteso quindici anni di capire cosa fare della mia vita, avevo sperato che qualcosa succedesse per sentirmi appagata, soddisfatta e ora dovevo rimanere ancora in sospeso.

"Mi dispiace" ebbi solo il coraggio di risponderle.

Perché di coraggio si parlava, lasciare un posto fisso, senza averne un altro. Lasciare una persona a cui si teneva, senza avere qualcun altro a cui appoggiarsi.

Lui avrebbe mantenuto il suo lavoro, Lara e sua madre pronta a sistemare tutto, ogni volta che fosse corso da lei a piagnucolare.

Io ero sola, nelle mie scelte, che ormai non potevo più rimandare.

"Ripensaci" inclinando leggermente la testa, accennando un mezzo sorriso.

"Non stavolta" risoluta, allungai la mano verso la maniglia in acciaio della porta.

"Libera di ripensarci fino all'ultimo, qui sei preziosa e trovare un'altra risorsa come te è impensabile" cercando di trattenermi fino all'ultimo, appoggiò la sua mano sul mio braccio. Un gesto, che mi fece sussultare, infastidita da questo goffo tentativo di convincermi, reagii d'istinto, strinsi ancora più forte quella maniglia, aprii la porta e lei lasciò la presa.

Mi voltai e notai che mi guardava con la bocca spalancata, socchiusi leggermente gli occhi, come a mettere a fuoco e imprimere per sempre nella memoria quel momento "libera di andarmene ora."


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