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Amori moderni- Il giorno che quell'altra sono diventata io

Mi sono guardata nello specchio. Non mi sono riconosciuta. Ero finita a nuotare in un'acqua putrida, stagnante. Loro ci stavano da anni. Ma io? Chi era peggio dei tre: lui che viveva nella falsità, lei che credeva alle menzogne o io che per mesi avevo sguazzato nelle bugie e cercavo adesso di uscirne pulita?

Avevo fatto una promessa a me stessa: mai con una persona già impegnata. Non devi salvare nessuno da nessuna. Ti raccontano sempre le stesse storie: che non sono più innamorati, che non è più come prima, che sei speciale, con te è diverso, tu sei una donna, lei una ragazzina. Noi continuiamo a crederci. Bisognose, avide dell'illusione che l'altro ti riconosca speciale, quando dovremmo invece trovare una persona vera e autentica, pronta a condividere tempo, progetti, sogni e non elemosinare la metà della metà dell'altro.

Quella storia non aveva nulla di diverso da tante altre. Lui si è rivelato in tutta la sua inconsistenza. Vuoto a perdere.

Lo conoscevo da tanti anni, quasi venti; ero al corrente delle sue infedeltà reiterate, perché in un tempo non sospetto ero una delle sue confidenti. Prendevo sempre le difese della sua fidanzata storica, sempre la stessa dai tempi della scuola, la sua ancora di salvezza in tanta solitudine. Mi dispiaceva per lei. Mi immedesimavo in lei. Ma provare pena per qualcuno è fuorviante, è un giudizio preconfezionato che non ti permette di andare oltre di conoscere una persona.

Non lo ascoltavo davvero, lo giudicavo.

Non lo ascoltavo davvero, mi schieravo.

Non lo ascoltavo davvero, senza se e senza ma, lo condannavo.

Giudicavo il tradimento, la scorrettezza di un comportamento che non riuscivo a comprendere e a tollerare. I buoni da una parte, i cattivi dall'altra.

"Non pensi a lei? Se continui a trovare qualcuna di più bella, interessante, che ti fa brillare gli occhi, quando ne parli, perché non la lasci?"

Mi aspettavo una risposta. Non ce l'aveva.

Mi aspettavo una risposta. Non poteva darmela.

Non c'era consapevolezza nelle sue infedeltà, solo un infantile narcisismo, il bisogno di un insicuro che brama la conferma che qualcun'altra ti copra di attenzioni, per poi ritornare indietro, come se nulla fosse accaduto.

Paura, vigliaccheria, superficialità. Tutto e il contrario di tutto.

Un giorno quell'altra sono diventata io.

Travolti da una passione, che ti lascia senza fiato, inspiegabile, dirompente. Attratti, come magneti. Sensazioni che lasciano spazio alla nascita di un sentimento.

Più bella di lei, più matura e interessante di lei, che gli ha fatto di nuovo brillare gli occhi e palpitare il cuore. O così mi piace pensare, perché lei non l'ha lasciata.

Sono stata "il dono caduto dal cielo", "la persona giusta", "il suo terremoto". Ma lei non l'ha lasciata.

Sono stati mesi faticosi, dolorosi: io da una parte e loro due dall'altra. Perché mai una volta ho dubitato del fatto che ci fosse un "io" e un "loro".

La loro storia proseguiva, come se nulla fosse successo.

Ho deciso di andarmene, di uscire da quel gioco delle parti. Ho lasciato anche il lavoro. Dimessa, senza un piano b. Non sopportavo più di dover lavorare al suo fianco. Insofferente a lui, a quello che mi aveva dimostrato di essere. Intollerante a lui e alla sua unica necessità, continuare a sporcarsi le mani, senza il coraggio di mostrarle mai.

Poi, una sera, molti mesi dopo essermene andata, mentre in macchina ascoltavo, leggera e libera "Everybody's changing" di Keane, il primo trillo di un messaggio, poi un altro ancora e un altro, di nuovo.

Ferma al semaforo, le mani che tremano, mentre leggo quello che c'è scritto, il cuore che inizia ad accelerare i battiti e di nuovo il destino ti riporta là, da dove eri fuggita.

Non c'è desiderio di confronto, di comprendere, in quei messaggi di una donna a un'altra donna, solo la rabbia di chi ha scoperto tutto e pensa che insultandoti possa superare, andare oltre e ricominciare.

Ecco la loro similitudine, ecco il loro vero collante.

L'inconsapevolezza.

Rimango incredula, quanta violenza verbale, quanta cattiveria in quelle parole: lei preferiva non vedere, fingere che nella sua storia coniugale non ci fosse una falla destinata ad allargarsi sempre più, ignorarla perché la diga non crollasse.

Passo sopra gli insulti, che feriscono ma non ti rappresentano, eppure testimoniano quanto la solidarietà femminile sia ancora molto lontana.

I sentimenti offuscano la lucidità. L'avevo sempre difesa, ora dovevo difendermi da lei, difendermi da loro. Sulla base di cosa poi? Come l'ha scoperto? Chi ha raccontato cosa? E a distanza di mesi, era un di lui alleggerirsi la coscienza o un essere stato messo alle strette, per un particolare, un dettaglio sfuggito?

Non lo saprò mai. Lui non l'ho mai più sentito. E forse questo fa ancora più male.

Nei momenti più difficili, la maschera cade e la vera identità si rivela.

Rideva, incitava lei a scrivermi quelle frasi, recitando la parte del maschio debole, facile alle tentazioni, ma che giura e spergiura di non ricascarci più?

Di certo, mi sono rimaste quelle parole, quelle minacce: caratteri fissi sul display luminoso dello smartphone.

E allora, rimetto in discussione tutto il mio giudizio inflessibile sul tradimento. La persona tradita non è più solo vittima, è responsabile quanto il traditore.

Se la relazione è solida, può una terza persona inserirsi?

Siamo tutti responsabili in egual misura, di un prima, di un mentre, di un dopo.

Una goccia che perde può diventare un fiume d'acqua e travolgerti in pieno.

Ho trovato difficile replicare subito, tralascio le intimidazioni e le minacce all'incolumità della mia persona, fortunatamente sono cresciuta in un ambiente in cui la violenza verbale da gang non mi appartiene e non mi spaventa. Eppure, sentirsi attaccata sul piano dell'età, perché più grande di lui, "tic tac tic tac è il tuo orologio biologico", ecco questo mi ha fatto di nuovo riflettere sulla mancanza di solidarietà femminile.

Siamo ancora a questo punto?

Mi sono chiesta se un uomo avesse scoperto il tradimento della propria donna, avrebbe spedito dei messaggi all'altro nel cuore della notte?

No, la risposta è no.

No, perché non c'è rivalità tra uomini, ma competizione.

No, perché per un uomo le corna non vanno perdonate, o portate eroicamente in silenzio, come per secoli la cultura maschile ci ha costretto a pensare.

Ho aspettato due giorni prima di risponderle, poteva decidere che donna diventare, affrontare la realtà e la complessità di un tradimento o continuare a mettere la testa sotto la sabbia. Nutrivo troppe aspettative, lei aveva deciso di chiudere gli occhi per l'ennesima volta, quell'attacco alla mia persona ne era la dimostrazione.

Quante voci ho sentito in quei giorni, amici e amiche, tutti unanimi nell'affermare che alla scoperta di un'infedeltà vi è solo una parola ammessa: fine.

Chiudere con lui. Prendersela con l'altra, dandole tutto questo potere non è contemplato.

Non lo so, posso solo provare a immaginare il dolore e la rabbia cieca che ti guida alla ricerca dell'unico colpevole, che per comodità vuoi identificare subito ed eliminare in fretta: l'altra.

E' molto più semplice prendersela solo con l'altra.

Non lo so, posso solo provare a immaginare lo sforzo per incollare qualcosa che si è rotto per sempre.

Chiudere vuol dire assumersi la responsabilità di un fallimento che è di entrambi.

Chiudere vuol dire avere il coraggio di decidere che persona si vuole essere e che persona si merita al proprio fianco.

Forse si dimostra più forza nel legare l'altro al filo doppio del senso di colpa? Da ora in avanti, il traditore è nelle tue mani, è in tuo potere, ti concederà tutto, senza riserve, deve espiare la sua colpa.

E l'amore, in tutto questo dove è?

Quell'amore già debole a cui si è voltato le spalle, mentre si decide di andare dall'altra.

Quell'amore già stanco, provato da tutti i passi falsi, da quell'andare e tornare senza mai chiedersi il perché. Quell'amore che è diventato abitudine, comodità, noia.

Quell'amore svuotato che tiene ancora insieme per la paura di restare soli.

E poi, abitando molto vicine, non è stato così difficile, incontrarla una mattina.

Non c'è stato confronto, non ci può essere con chi taglia immediatamente il discorso "non mi interessa, non voglio sapere niente".

Lui si è ripulito la coscienza, lei ha mantenuto il suo castello di carta, e tu sei l'unica colpevole.

Tu sei l'unica che merita la morta, se provi a riavvicinarti.

Tu sei l'unica che merita gli insulti.

Tu sei l'unica che merita l'odio "brucerò te e la tua famiglia".

Non crollo sotto quel diluvio di parole offensive e di disprezzo, ma osservo il vuoto del suo sguardo, come di chi guarda, ma non vuole vedere; come di chi ha intuito che andare a fondo è troppo faticoso e rischioso.

Salvare le apparenze è ciò che importa, per entrambi.

Meglio la lenta agonia di un amore, che la parola fine.

Perché la fine non la sancisce mai l'altra, quello è solo il sintomo di una storia già finita.

Allibita, incredula, le ho girato le spalle e me ne sono andata.

Consapevole di essere stata coinvolta in una situazione marcia.

Uscirne, scrollandomi di dosso tutto il fango gettatomi.

Uscirne, perché non si può innaffiare il deserto, un cuore arido non riconosce le gocce d'amore.

Uscirne, dopo essermi guardata in profondità.

Uscirne, perché valgo di più di quello che fino a quel momento pensavo.

E in quell'istante tutto si è svelato.

Simile attrae simile. Se non c'è consapevolezza, non c'è crescita; forse questo è l'unico vero peccato, più deleterio di un tradimento.

La verità porta dolore, ma si può sempre scegliere di ignorarla.

Almeno per un po', nasconderla bene sotto il tappetto della casa nuova, fino alla prossima volta.

Perché ogni botta che arriva è la vita che cerca di svegliarti, per insegnarti qualcosa, ma soltanto noi possiamo decidere se imparare, se essere protagonisti o spettatori di quel miracolo che si chiama amore.

Tutto è in divenire e ho imparato che dentro ogni crisi c'è un'opportunità di riportarti sulla strada giusta, la tua.



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